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Roberto Orlando |
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Il tempo diluisce i ricordi e tutto il vissuto, con gli anni, diventa opaco, sfocato: si dice che il cervello conservi soltanto i ricordi belli, come una sorta di autodifesa, e allora tutto il passato diventa nostalgia, malinconia, rimpianto dei tempi andati. Anche il mondiale del 1982, ormai lontano quasi quarant’anni. Eppure, a rileggere i giornali dell’epoca, si legge chiaramente tutta la diffidenza e la sfiducia verso la nazionale campione di Spagna. Un mese, quello spagnolo, che ferì tanto tutti i protagonisti, diventati, al termine del supplizio, eroi di Spagna.
Una critica nata già alla fine del mondiale del 1978, quando sul banco degli imputati era salito il “vecchio” Zoff, ormai trentaseienne, che solo 4 anni dopo, a 40 anni, ha lasciato una delle foto più belle, lui sorridente (cosa strana, per un friulano) con la coppa del mondo in mano. Una critica che ha accompagnato la vigilia del campionato spagnolo, perché Bearzot ha lasciato a casa il bomber Pruzzo per portare in azzurro Paolo Rossi, tornato in campo soltanto pochi mesi prima dopo la squalifica per il calcioscommesse. Il “vecio”, per difendere Rossi e cautelarlo da ogni pressione in rosa aveva portato in Spagna Franco Selvaggi, perché i dualismi in nazionale hanno sempre fatto male (Rivera-Mazzola, Baggio-Del Piero…) e allora Pruzzo sarebbe stato il santo da invocare alla prima prova scialba di Rossi. Selvaggi no.
Quale era la pressione attorno al CT e alla squadra per queste scelte lo sanno solo i diretti interessati, che per evitare di essere schiacciati dai giornali decidono per il silenzio stampa. Unico autorizzato a parlare il capitano Zoff. Che poi, in fondo, era come non parlare per nulla, conoscendo la scarsa loquacità del portiere della Juventus. Gruppo blindato e chiacchiere a zero.
Paolo Rossi viene intervistato per Repubblica da Mario Sconcerti alla vigilia di Italia-Polonia, partita inaugurale del girone degli azzurri. Dichiarazioni amarissime, quelle di Pablito, che in realtà non era ancora Pablito ma la prima punta della nazionale, che fino a pochi mesi prima era ancora ai box. Fuori forma, con i problemi fisici per i menischi ormai partiti, non più solare come quattro anni prima in Argentina.
Rossi dichiara di aver avuto la vita sconvolta dopo la squalifica, di essere diventato diffidente e di non volersi più concedere con tanta facilità a microfoni e persone. Una sorta di autodifesa, per sé e per la sua famiglia. Dice di aver scontato interamente la pena e di non dover ringraziare nessuno: “è un secondo debutto che non ho voluto io. Ma è acqua passa ormai. Non credo che tecnicamente Bearzot mi ritenga in grado di salvare la Patria. Sto bene ma non posso essere al cento per cento”. Parole che lette oggi sembrano la non conoscenza del piano “divino”, o, più laicamente, del “vecio”, che già sapeva in cuor suo che il bomber sarebbe tornato e le avrebbe suonate e cantate a tutti.
Quello che è successo dopo è storia: passaggio del turno stentato, poi a Barcellona l’apoteosi. Gianni Brera, sempre sferzante contro la nazionale di Bearzot, perde la scommessa con se stesso ed è costretto ad andare in pellegrinaggio al Tibidabo dopo la vittoria degli azzurri contro il Brasile, “vestendo i panni del flagellante”. Lo stesso Brera santifica il catenaccio di Bearzot dopo la vittoria contro la Germania. Rossi è il volto del mondiale, riabilitato, beatificato. I suoi gol sono gli schiaffi alle critiche e trasformano la delusione dei tifosi nella gioia più netta.
Focalizzare in questi momenti la vita agonistica di un calciatore, che ha vissuto tante peripezie, vette altissime e profondi abissi, e inquadrarla in una sola fotografia diventa esercizio difficile. Ma Paolo Rossi è il mundial del 1982, è una coppa del mondo insperata e vinta contro tutto e tutti. Il mondiale di Spagna è, per Rossi, il prima e il dopo della sua carriera, della sua vita da calciatore e di uomo. Senza retorica. A condensare i sentimenti attorno all’uomo e al calciatore, ci ha pensato, all’epoca, un'altra “penna” esemplare, Gianni Mura. Che con un sarcasmo tagliente, alla vigilia della finale mondiale, coagula l’ondivago sentimento italico su Paolo rossi. Eccola, quindi, la fotografia di Paolo Rossi da lasciare ai posteri. Ci mancherai, Pablito.
Prima: intanto è uno scandalo che gli diano la maglia azzurra a questo ladro, a quest’infamone. Come di si può fidare di uno che ha fatto quello che ha fatto lui, che per due lire venderebbe la madre? E almeno giocasse bene, si capirebbe perché quel testone di Bearzot insiste. Invece no, Rossi fa piangere, tanto è vero che l’hanno sostituito e d’altra parte basta sapere appena un pochino di calcio per capire che dopo tutti quegli anni fermo Rossi non poteva essere il Rossi argentino. Là arrivava un pallone con un secondo d’anticipo su tutti, qui con due secondi di ritardo. E poiè sempre per terra a lamentarsi. Almeno tre centravanti meritavano quella maglia più di lui, a prescindere dalle scommesse. Con Rossi facciamo ridere il mondo, te lo dico io.
Dopo: Angelo vendicatore, angelo sterminatore, bel morettino mio, Ianua coeli, nino de oro, Rossigol, aiutaci a sognare, aiutaci a segnare, mettila dentro, con Rossi facciamo tremare il mondo, te lo dico io, non solo i crucchi. Pensa a quante ne ha passate ‘sto ragazzo, l’hanno sporcato che era pulito come un giglio, ha perso più di due anni della sua vita, ha perso quattrini, ha perso quotazione, ha perso fiducia, ed eccolo qui come se niente fosse capitato, bello e sicuro, rapido ed invisibile, mordi e fuggi, sei tutti noi, siamo con te. Ti picchiamo ma ogni volta ti rialzi più forte di prima, come te non c’è nessuno, sfonda la porta dei tedeschi, apri la porta del paradiso.