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Angelica Grippa |
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Tempo di lettura: 4 minuti
Tutto è partito da quand’ero piccolina: a quei tempi non tifavo Juventus,
lo ricordo bene, facevo le elementari e tenevo per la Lazio, quella di
Cragnotti, gloriosa. Eppure dalla mia camera sentivo l’eco di mio padre che
inneggiava la Juve, quella squadra di cui tutti parlavano e che tutti divideva.
Credo che in quel preciso istante di una domenica pomeriggio in quarta
elementare io abbia compiuto la scelta tra odio e amore per la Vecchia Signora.
Un innamoramento totale, improvviso, che non è mai finito, nemmeno nei momenti
peggiori, come quelli del 2006: cominciai a coltivare un sogno, quello di
andare a Torino a vedere i miei eroi. Dopo più di dieci anni ho deciso di
realizzarlo, andare in quella che poi sarebbe diventata la città del mio cuore, e non solo per la Juve, ma questo non lo sapevo ancora...
Dopo 4 giorni itineranti nel capoluogo piemontese a spasso nella storia
d’Italia, un pomeriggio dei primi di gennaio del 2014, dopo la visita della
palazzina di caccia di Stupinigi a Nichelino, presi una decisione: basta andare
a spasso tra monumenti, ora mi dedico solo al mio più grande amore. In auto la
voce del navigatore che ci guidava, il mio cuore batteva a mille: quello che
avevo visto solo in televisione era dannatamente vicino a me. Lo riconobbi subito, lo Juventus Stadium:
iniziai a saltare, non riuscivo più a fermarmi, non potrò mai dimenticare
quella sensazione. Poche volte sono stata così felice come quella volta,
leggera, innamorata.
La prima cosa facemmo d’istinto fu avvicinarci alla biglietteria per fare
il tour che organizza la Juve, per visitare quei posti dove i tuoi idoli vivono
praticamente ogni giorno. Prima tappa è lo Juventus-Museum: all’entrata ci
ritrovammo praticamente la storia dei bianconeri davanti agli occhi. Le maglie
di Sivori, Conte, Platini, Scirea, Gentile, Zoff si vola. Ma poi c’era lui, e
meritava un capitolo a parte, il capitano dei capitani, Alex Del Piero: nel
museo ci sono interi angoli dedicati solo a lui.
Poi l’angolo dei Palloni d’Oro e al centro l’ultimo, quello di Pavel Nedved,
vinto a ridosso del momento più difficile. Le scritte, i numeri di una storia
gloriosa e poi la più bella: la stanza dei trofei con tutti quei titoli e le
due Champions League. Vederle così vicine non faceva che aumentare la
sensazione di una mancanza e mi faceva tornare alla mente le troppe ferite
causate da tutte quelle finali perse (mancavano ancora quella del 2015 contro
il Barcellona e quella più dolorosa e recente, nel 2017
contro il Real Madrid).
Uscimmo dal museo, e ci infilammo in quei corridoi lunghi, splendenti,
nuovi e bianchi, dove si leggono le frasi che da sempre caratterizzano la
storia della Juve con le gigantografie dei giocatori più rappresentativi. Frasi
di Zidane, Davids, tutte emozionanti.
La più bella? Una che rappresenta come nessuna lo spirito bianconero: "Qui bisogna lottare sempre e quando sembra che tutto sia perduto, crederci ancora, la Juve non si arrende mai", di Omar Sivori.
Poi arrivammo al cuore dello Stadium, il campo da gioco e tutt’attorno gli
spalti: appena uscita trattenni il respiro, finalmente avevo di fronte a me il
tempio di tutte le nostre sofferenze e delle nostre gioie. Una struttura
nuovissima, all’avanguardia, pulita, solo uno juventino sa quanto ci si può
sentire forti e protetti lì dentro, la nostra vera casa. Anche solo vedere
quegli spalti vuoti creò in me quelle sensazioni, potevo solo immaginare come
sarebbe stato vederlo con 41.000 spettatori: un’altra storia sicuramente, da
lacrime agli occhi.
Proseguimmo e ci imbattemmo nell’area dedicata alla comunicazione, e non
potei fare a meno di pensare al mio sogno più grande: lavorarci. Intervistare i
giocatori, vivere il pre e il post partita, partecipare alle conferenze stampa
dell’allora mister Antonio Conte.
Poi entrammo nello spogliatoio, disegnato rigorosamente da Pininfarina, in
perfetto stile Juve. Quelle postazioni con i numeri assegnati e di fronte i posti
di due calciatori che rappresentavano la guida, l’esperienza: due campioni come
Andrea Pirlo e Gianluigi Buffon. Qui c’era anche la possibilità di fare la foto
con la maglia del tuo campione preferito. Guardammo con invidia tutte le vasche
e le strutture progettate per coccolare i nostri campioni. Accanto vi era anche
uno store con tutte le maglie, le tute, e i gadget bianconeri che si possono
immaginare, e poco più avanti un’ampia catena di supermercati, giusto per non
farsi mancare nulla.
Non volevo uscire da quel tempio a strisce bianconere. Sono passati diversi
anni, eppure quelle sensazioni le sento ancora oggi come se non fosse passato
un solo giorno. Le ho amplificate successivamente con la mia visita a Vinovo
dove ho avuto la fortuna di fare anche le foto con Tevez e Chiellini.
Si respira la Juve a Torino, si capisce subito che si tratta di un piccolo
angolo privato che per noi rappresenta il mondo, il nostro. Strutture così
fanno bene al calcio italiano: a quella visita non andai solo con degli
juventini, ma anche chi non tifava bianconero ha saputo apprezzare quelle
strutture e quella splendida organizzazione. Si respira progettualità,
ambizione e attenzione ai particolari.
Visitare lo Stadium è un’esperienza incredibile lo consiglio a tutti gli
juventini ma anche semplicemente agli amanti del calcio. E se poi approfittate per
visitare una città magica come Torino, è tanto di guadagnato.