Da quel lontano 6 febbraio 1978, molti, parlando di Erasmo Iacovone, si sono chiesti il perché di un mito.
In molti hanno cercato di capire come sia possibile che un giocatore che non ha disputato così tanti campionati e non ha realizzato caterve di gol (17) in maglia rossoblu, rappresenti, a distanza di 40 anni, insostituibile simbolo ed icona di una squadra e di una citta'; un legame che il tempo non scalfisce ma rafforza, di generazione in generazione.

La risposta, dal cuore del tifoso, scaturisce spontanea.
Erasmo Iacovone racchiudeva nel suo essere uomo e calciatore, tutti gli ingredienti amati dal pubblico, non solo rossoblu. La sua semplicità, il suo correre veloce pur non essendo un brevilineo, il suo imperioso stacco di testa che ne faveva un ariete nonostante una struttura fisica tutt'altro che possente, la grinta, la tecnica... e poi quel gol al Bari... adorabile sintesi e apoteosi della simbiosi tra quell' inarrestabile numero 9 in maglia rossoblu... e la città.

In quel destino crudele e beffardo; in quelle tragiche coincidenze che hanno causato il terribile incidente che lo ha portato via (e che nemmeno la trama di un film thriller-poliziesco avrebbe potuto contemplare); in quella pioggia che cadeva intensa, come lacrime dal cielo, durante il suo funerale; in quel gol segnato da Massimo Serato (suo sostituto) dopo soli 4 minuti della partita di Rimini vinta 3-1 nella domenica successiva al suo addio, è racchiusa la storia di questa squadra e di questa città.
Ovvero: potenzialità strozzate e mortificate dalla sorte avversa; il sogno accarezzato ma mai realizzato; la forza di continuare nonostante tutto... e tutti.
Chi lo ricorda nitidamente perché lo ha visto; chi, invece, lo ha visto pochissimo e pianto tantissimo (come me); chi ha imparato a conoscerlo e ad amarlo dai racconti di un padre o di un vecchio tifoso.
Iacovone è di tutti e, come nei versi dell'inno rossoblu scritto dall'amico Marco De Bartolomeo "se fosse qui, lui griderebbe insieme a noi... si può saltare più in alto... solo se tu vuoi".

E allora, nella ricorrenza dei 40 anni dalla sua morte, ci resta la speranza di voler, poter e saper saltare con Iaco per raggiungere obiettivi più ambiziosi e prestigiosi, nel calcio ma non solo; proprio come lui, piccolo grande uomo, ci ha insegnato con il suo arrampicarsi in aria per poi colpire con forza, per acchiappare il sogno.
E lascia che ti ringrazi "dolce Erasmo", perché una tifoseria negli ultimi anni sempre più divisa, sempre più mortificata e delusa, ritrova, nel tuo ricordo, la propria compattezza, il suo orgoglio, una condivisa emozione racchiusa in un solo coro... una sola canzone:
"Iaco, Iaco, Iacovone"!