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Andrea Loiacono |
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Centoottantuno presenze e 16 gol con la maglia del Taranto; uno dei calciatori più amati per il suo attaccamento alla maglia, la sua corsa, le qualità tecniche e la capacità di mettersi al servizio dei compagni: parliamo di Graziano Gori che noi di MRB.it abbiamo contattato telefonicamente per fargli qualche domanda su Erasmo Iacovone in occasione del quarantennale dalla sua morte.
Mister, ci può dire che tipo di calciatore era Erasmo Iacovone tecnicamente?
"Era il tipico attaccante d'area di rigore, sapeva sfruttare al meglio gli assist miei e quelli di Selvaggi. Ma l'aspetto che maggiormente impressionava tutti era la sua elevazione e il suo colpo di testa imperioso. Io gli ho fornito qualche assist e con Caputi formavamo un trio eccezionale".
Passando al lato umano e caratteriale, chi era Erasmo Iacovone e cosa ha rappresentato per lei come uomo e come amico?
"Erasmo era un bravissimo ragazzo, oltre che un caro amico. Al solo pensiero del suo ricordo mi vengono i brividi. Alle volte capitava che quando la moglie veniva, naturalmente trascorrevano un poco di tempo di più insieme invece di stare con un gruppo di amici di cui facevo parte anche io, ma nello spogliatoio sapeva ambientarsi benissimo".
Si può dire che Iacovone è stato l'emblema del calcio ionico non solo prima della sua morte ma anche dopo? Icona di una Taranto che stava sognando e rinascendo, simbolo di un tempo in cui allo stadio non vi erano barriere e il pubblico poteva quasi abbracciare i propri beniamini?
"Assolutamente sì. Il calcio di allora era caratterizzato da bandiere vere e proprie, da calciatori che non cambiavano casacca da un momento all'altro; Iacovone era una bandiera. A dimostrazione di quanto il calcio fosse più spontaneo e genuino, ricordo che ogni tanto i tifosi venivano a bere un caffè con noi calciatori".
Dove sarebbe potuto arrivare il Taranto se quel 6-2-1978 il destino beffardo non se lo fosse portato via? Che ricordi ha di quel giorno? Si dice che lei e qualche compagno vi precipitaste all'ospedale dove arrivò Iacovone e, presi dal dolore, aveste una lite con degli infermieri. È vero?
"Il Taranto era una squadra forte; addirittura nel vecchio impianto “Salinella” era pressoché imbattibile. Penso che sarebbe arrivato in serie A senza problemi. Purtroppo la sfortuna del Taranto è concisa con la sfortuna di un calciatore che ha dovuto fare i conti con la cattiva sorte, come ogni tanto capita. Non è facile neanche per me parlare di queste cose, è un dolore che custodisco per me. Ricordo che la domenica, subito dopo la partita con la Cremonese terminata 0-0, negli spogliatoi c'era delusione da parte nostra e, presi da questo momento di stizza, io e Iaco avemmo un piccolo battibecco, questioni di gioco, nulla di che. Lì per lì non ci chiarimmo subito, contavo di chiarire il martedì successivo alla ripresa degli allenamenti, anche perché eravamo davvero una famiglia. Purtroppo poi accadde quello che tutti sapete e mi rimase il rimpianto. Non fui io ad andare all'ospedale quella notte, bensì il portiere Petrovic; io lo vidi il giorno dei funerali. Spesso mi capita di pensare che una sorta di “maledizione” si sia abbattuta sul Taranto calcio da quel momento, tanto che da quasi venticinque anni non riesce a risollevarsi".