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Catania e tutti i nove giugno del Taranto: quando ce li togliamo davanti?

Diventa 'maggiorenne' la più grande delusione degli anni 2000. Sentimenti ancora vivi
   Roberto Orlando

09 Giugno 2020 - 09:49

Tempo di lettura: 3 minuti

È incredibile come magari non si ricordi "cosa si è mangiato ieri" e invece conserviamo nitide nella memoria intere giornate: è il caso, per me e per almeno altre 25.000 persone, di Taranto - Catania, quel liso 9 giugno di 18 anni fa. Abbiamo raccontato quel giorno in tutti i modi: epilogo amaro di una stagione formidabile, il "tradimento" di Pieroni, la pagina più buia della storia recente del calcio tarantino. Abbiamo cercato i colpevoli tra gli undici in campo, conserviamo ancora nitide le emozioni di quel giorno e la diffidenza verso quei volti che sono stati i protagonisti della stagione: Riganò, Monza, Giuliano, Cazzarò, Galeoto, Siroti, Triuzzi, Parente, Marziano, Deliguori... forse la verità ufficiale non la sapremo mai, ma un'idea di cosa è successo quel giorno ce l'abbiamo ben chiara, con il patron Pieroni che va via a metà del primo tempo e il Sindaco Di Bello in tribuna insieme al sindaco di Bari Di Cagno Abbrescia imbarazzata per la pantomima irriguardosa che si svolgeva sotto i suoi occhi.

Ricordo benissimo dov'ero e con chi ero, cosa ho fatto e cosa ho mancato di fare. Al ritorno a casa (e chi ci voleva tornare a casa?) la frase di mio padre fu: "ancora ret a u Tarant ve'?", che può sembrare trita e ritrita, sentita e combattuta con tutte le forze da chi in quel Taranto ci credeva, ma che, me ne accorsi a distanza di anni, aveva dentro il succo del calcio a Taranto: un continuo tradimento. Mio padre aveva vissuto, da spettatore, l'amarezza del calcio-scommesse negli anni '80, delle retrocessioni giuste e meno giuste e aveva abbandonato prima del fallimento del '93. "Tanto quello è il destino del Taranto", dice ancora tutt'oggi. Ma noi, la generazione dei '70 e degli '80 avevamo ripreso per mano la squadra della nostra città nell'inferno dei dilettanti e l'avevamo riportata a sognare la B, in quel giugno del 2002. Credendoci. Fino al 9 giugno, quando la storia (quella dei tradimenti) si è ripetuta. E non è stata per l'ultima volta.

Da allora viviamo quel nove giugno come il giorno della memoria dei sogni rossoblù. Dei sogni e dell'innocenza perduta, della speranza soffocata. Ma da quel lutto non ci siamo mai più ripresi, se non nella parentesi Blasi, l'ultimo a far sognare la serie B ai tarantini. E forse tradito anche lui insieme ai suoi tifosi nel 2008. Negli ultimi 8 anni viviamo di lontani ricordi e di chimere, ormai la serie B persa col Catania è più un rito collettivo di condivisione del dolore che non è mai diventata piena presa di coscienza da ciò che dobbiamo tenere alla larga dalla nostra squadra (e dalla nostra città) del cuore. Ci soffermiamo mestamente a maledire quei personaggi, quella data, quelle illusioni.

Oggi, 9 giugno 2020, mentre i nostri fantasmi diventano maggiorenni, viviamo un sentimento dilaniato verso la stessa squadra rossoblù: divisi, arrabbiati. Indolenti, incapaci di andare oltre gli stessi sentimenti di 18 anni fa. Ancora in lotta tra un "vattene" e un "prenditelo tu il Taranto", tra suddivisioni di comodo sui tifosi, sullo scrivere (scioccamente) alla lavagna chi sono i buoni e chi sono i cattivi. La coperta del dilettantismo ha ricoperto tutto, come la neve ricopre e ovatta di silenzio i boschi e le pianure disabitate. Rinascere è dovere di tutti, un gesto condiviso e supportato da tutti: per dirla con una frase abusata, remare tutti dalla stessa parte. Ma il dubbio atroce è che da quel nove giugno non sappiamo più da quale parte andare, ci siamo dimenticati di essere marinai.

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