Angelica Grippa | |
|
Tempo di lettura: 3 minuti
“E si è suicidato. Ma io non mi
suiciderò mai. Perché un'altra cosa mi ricordo io. Io ho sempre amato la
libertà”.
“Nella vita non esiste il pareggio”.
L’uomo in più: film del 2001 diretto da Paolo Sorrentino, presentato nella 'sezione cinema del presente' alla Mostra del Cinema di Venezia. Il racconto si svolge a Napoli, e ne
scopre la parte più cruda e cinica. I due protagonisti Antonio Pisapia, uno
stopper all’apice della sua carriera e Tony Pisapia, un cantante di musica
leggera, mostrano due personalità completamente contrapposte: il primo spavaldo
aggressivo e sicuro; il secondo introverso triste e timido. Sorrentino nella
descrizione di questi due personaggi si è liberamente ispirato a due personaggi
realmente esistiti: il calciatore De Bartolomei e il cantautore Califano.
Napoli, anni
’80: Antonio e Tony Pisapia vivono un momento glorioso della loro vita, uno
grazie al suo talento calcistico l’altro per le sue doti vocali nella musica
leggera. Ma mentre Antonio si gode il suo successo con un atteggiamento sicuro
dall’altra parte troviamo in contrapposizione un cantante malinconico, carico
di quell’ingenuità tipica degli artisti.
In una
giornata semplice come tante altre, Antonio subisce un grave infortunio che ne
compromette la carriera calcistica per sempre.
A distanza di qualche anno si troverà ad affrontare anche un gravissimo
dolore: la perdita dell’amata moglie per mano di un altro uomo. Il fuoriclasse
in poco tempo si ritroverà in ginocchio e costretto a fare i conti con se
stesso. Ma la vita gli regala un’altra possibilità nel momento in cui incontra
un’altra donna a cui vuole davvero bene, ma ci rinuncia per non innamorarsi
senza una reale motivazione.
Dall’altra
parte il cantante Tony subisce un arresto, accusato di aver avuto un rapporto
sessuale con una minorenne dopo un concerto. Dopo essere stato scagionato per
le accuse decadute, si darà alla droga perdendo la possibilità di ogni lavoro
onesto, e per sopravvivere si troverà costretto a fare un concerto in un
piccolo paese abruzzese dove si presenteranno solo pochissimi ascoltatori.
Nella sua amata Napoli avverrà l’incontro con Antonio in un supermercato, un
incontro fugace, ma poco dopo verrà a
sapere che l’ex calciatore si è suicidato per la disperazione.
Tony fa
visita al presidente dell’ex squadra di Antonio, quello stesso uomo che si era
rifiutato di dare un mano al calciatore offrendogli un lavoro quando era
disperato, e lo ammazza a sangue freddo.
Il punto
massimo di tensione del film si raggiunge quando l’assassino appare in uno
studio televisivo e con grande freddezza ammette ogni cosa. Dopo l’intervista
verrà arrestato. L’ultima scena è una costruzione alla Sorrentino: Tony con gli
amici di cella prepara il pesce con assoluta tranquillità.
Un ritratto
nitido della spietatezza della vita, il cinismo di una caduta libera dopo aver
raggiunto l’apice del successo. L’altra faccia del successo: la persecuzione,
l’ossessione, i fantasmi di quello che poteva essere o era e adesso non è più.
La famosa capacità di Sorrentino di descrivere in modo realistico e crudo gli
aspetti più tristi dell’esistenza, filosofia degli ultimi, dei dimenticati e
dei perduti.
Mi riconosco
grande estimatrice del cinema di Paolo Sorrentino, che in questo film attraverso il calcio e la
fama di cui questo magnifico sport gode, ne descrive sempre l’altra faccia, di cui tutti si dimenticano in fretta. Film intenso e spietato, cinico
ma mai esagerato, con una delle performance migliori di Toni Servillo, pupillo
assoluto del regista partenopeo.
Merito a
Servillo, merito a Sorrentino e al cinema italiano fatto così!