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L'uomo in più: l'altra faccia del successo

Dalla rubrica dedicata ai film sul calcio, 'Cinema Footlball Club'
   Angelica Grippa

06 Febbraio 2020 - 14:00

Tempo di lettura: 3 minuti

“E si è suicidato. Ma io non mi suiciderò mai. Perché un'altra cosa mi ricordo io. Io ho sempre amato la libertà”.

“Nella vita non esiste il pareggio”.

L’uomo in più: film del 2001 diretto da Paolo Sorrentino,  presentato nella 'sezione cinema del presente' alla Mostra del Cinema di Venezia. Il racconto si svolge a Napoli, e ne scopre la parte più cruda e cinica. I due protagonisti Antonio Pisapia, uno stopper all’apice della sua carriera e Tony Pisapia, un cantante di musica leggera, mostrano due personalità completamente contrapposte: il primo spavaldo aggressivo e sicuro; il secondo introverso triste e timido. Sorrentino nella descrizione di questi due personaggi si è liberamente ispirato a due personaggi realmente esistiti: il calciatore De Bartolomei e il cantautore Califano.

Napoli, anni ’80: Antonio e Tony Pisapia vivono un momento glorioso della loro vita, uno grazie al suo talento calcistico l’altro per le sue doti vocali nella musica leggera. Ma mentre Antonio si gode il suo successo con un atteggiamento sicuro dall’altra parte troviamo in contrapposizione un cantante malinconico, carico di quell’ingenuità tipica degli artisti.

In una giornata semplice come tante altre, Antonio subisce un grave infortunio che ne compromette la carriera calcistica per sempre. A distanza di qualche anno si troverà ad affrontare anche un gravissimo dolore: la perdita dell’amata moglie per mano di un altro uomo. Il fuoriclasse in poco tempo si ritroverà in ginocchio e costretto a fare i conti con se stesso. Ma la vita gli regala un’altra possibilità nel momento in cui incontra un’altra donna a cui vuole davvero bene, ma ci rinuncia per non innamorarsi senza una reale motivazione.

Dall’altra parte il cantante Tony subisce un arresto, accusato di aver avuto un rapporto sessuale con una minorenne dopo un concerto. Dopo essere stato scagionato per le accuse decadute, si darà alla droga perdendo la possibilità di ogni lavoro onesto, e per sopravvivere si troverà costretto a fare un concerto in un piccolo paese abruzzese dove si presenteranno solo pochissimi ascoltatori. Nella sua amata Napoli avverrà l’incontro con Antonio in un supermercato, un incontro fugace,  ma poco dopo verrà a sapere che l’ex calciatore si è suicidato per la disperazione.

Tony fa visita al presidente dell’ex squadra di Antonio, quello stesso uomo che si era rifiutato di dare un mano al calciatore offrendogli un lavoro quando era disperato, e lo ammazza a sangue freddo.

Il punto massimo di tensione del film si raggiunge quando l’assassino appare in uno studio televisivo e con grande freddezza ammette ogni cosa. Dopo l’intervista verrà arrestato. L’ultima scena è una costruzione alla Sorrentino: Tony con gli amici di cella prepara il pesce con assoluta tranquillità.

Un ritratto nitido della spietatezza della vita, il cinismo di una caduta libera dopo aver raggiunto l’apice del successo. L’altra faccia del successo: la persecuzione, l’ossessione, i fantasmi di quello che poteva essere o era e adesso non è più. La famosa capacità di Sorrentino di descrivere in modo realistico e crudo gli aspetti più tristi dell’esistenza, filosofia degli ultimi, dei dimenticati e dei perduti.

Mi riconosco grande estimatrice del cinema  di Paolo Sorrentino, che in questo film attraverso il calcio e la fama di cui questo magnifico sport gode, ne descrive sempre l’altra faccia, di cui tutti si dimenticano in fretta. Film intenso e spietato, cinico ma mai esagerato, con una delle performance migliori di Toni Servillo, pupillo assoluto del regista partenopeo.

Merito a Servillo, merito a Sorrentino e al cinema italiano fatto così!

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