Roberto Orlando | |
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Lo ripetiamo sempre, ripartire. Lo speriamo sempre, ogni domenica che il campo ha lasciato tutti delusi dal risultato del Taranto. Ce lo diciamo da un mese, dopo tre sconfitte brucianti e un pareggio deludente, che ha semplicemente fatto aumentare il nutrito gruppo dei disillusi. La scorsa settimana il concetto di ripartire era legato principalmente all’arrivo del nuovo DS Vincenzo De Santis e quindi ai cambiamenti che la nuova figura avrebbe potuto e dovuto apportare alla squadra.
La squadra, ecco: in settimana anche gli ultras sono andati a trovarli al campo B, durante gli allenamenti. Anche la curva si è resa conto che uno dei semi dei mali del Taranto risiede lì, nella spaccatura tra opposte fazioni. Un divario che è costato punti, ambizioni, investimenti societari. Osserveremo nelle scelte di mercato se la società saprà (e vorrà) ricucire i rapporti tra i giocatori o quale “corrente” andrà via. Ma certo è che le difficoltà di convivenza tra tante teste non è mai stata facile e, se possiamo azzardare, anche mister Ragno ne sa qualcosa. Ma occorre osservare a monte di tutte queste faide, per cercare di capire come nascono: basta dire che le squadre vanno costruite dai DS e dagli allenatori, non da altre figure, non da improvvisati del pallone, non dai procuratori.
Abbiamo parlato di mister Ragno, agnello sacrificale della prima crisi rossoblù e adesso, con le stesse giornate in tasca, sarebbe anche giusto tracciare un paragone col suo successore Panarelli. Protagonista (e vittima) di un discorso interrotto, il tecnico tarantino è sembrato il nuovo messia, per poi successivamente sprofondare in prestazioni scadenti, in scelte sbagliate, in letture di gioco inadeguate. Otto partite per Ragno, otto per Panarelli, la differenza è di un punto in più per il tarantino: 13 punti a 12, un percorso simile, fallimentare se l’obbiettivo è la promozione. Abbiamo stima del tecnico Panarelli, nonostante uno spogliatoio che ancora non riesce a trovare pace e dei risultati deludenti, al di là dei bicchieri mezzi pieni visti; ci permettiamo, quindi, di dirgli di evitare di cercare il consenso dagli spettatori durante la partita, di plateali braccia aperte come a dire: “avete visto?”, come a discolparsi di un arbitraggio per lui discutibile o di situazioni imponderabili. Ci piace il Panarelli che pensa ai fatti piuttosto che alle parole, al lavoro piuttosto che ai proclami, allo studio piuttosto che all’improvvisazione. Quello che abbiamo imparato a conoscere e che forse, un po' si è perso.