LE VOCI DI MRB.IT

Taranto, crederci è difficile

Un pareggio amaro, una tifoseria a pezzi, una dimensione da trovare
   Roberto Orlando

17 Dicembre 2019 - 08:00

Tempo di lettura: 4 minuti

Lo ripetiamo sempre, ripartire. Lo speriamo sempre, ogni domenica che il campo ha lasciato tutti delusi dal risultato del Taranto. Ce lo diciamo da un mese, dopo tre sconfitte brucianti e un pareggio deludente, che ha semplicemente fatto aumentare il nutrito gruppo dei disillusi. La scorsa settimana il concetto di ripartire era legato principalmente all’arrivo del nuovo DS Vincenzo De Santis e quindi ai cambiamenti che la nuova figura avrebbe potuto e dovuto apportare alla squadra.

La squadra, ecco: in settimana anche gli ultras sono andati a trovarli al campo B, durante gli allenamenti. Anche la curva si è resa conto che uno dei semi dei mali del Taranto risiede lì, nella spaccatura tra opposte fazioni. Un divario che è costato punti, ambizioni, investimenti societari. Osserveremo nelle scelte di mercato se la società saprà (e vorrà) ricucire i rapporti tra i giocatori o quale “corrente” andrà via. Ma certo è che le difficoltà di convivenza tra tante teste non è mai stata facile e, se possiamo azzardare, anche mister Ragno ne sa qualcosa. Ma occorre osservare a monte di tutte queste faide, per cercare di capire come nascono: basta dire che le squadre vanno costruite dai DS e dagli allenatori, non da altre figure, non da improvvisati del pallone, non dai procuratori.

Abbiamo parlato di mister Ragno, agnello sacrificale della prima crisi rossoblù e adesso, con le stesse giornate in tasca, sarebbe anche giusto tracciare un paragone col suo successore Panarelli. Protagonista (e vittima) di un discorso interrotto, il tecnico tarantino è sembrato il nuovo messia, per poi successivamente sprofondare in prestazioni scadenti, in scelte sbagliate, in letture di gioco inadeguate. Otto partite per Ragno, otto per Panarelli, la differenza è di un punto in più per il tarantino: 13 punti a 12, un percorso simile, fallimentare se l’obbiettivo è la promozione. Abbiamo stima del tecnico Panarelli, nonostante uno spogliatoio che ancora non riesce a trovare pace e dei risultati deludenti, al di là dei bicchieri mezzi pieni visti; ci permettiamo, quindi, di dirgli di evitare di cercare il consenso dagli spettatori durante la partita, di plateali braccia aperte come a dire: “avete visto?”, come a discolparsi di un arbitraggio per lui discutibile o di situazioni imponderabili. Ci piace il Panarelli che pensa ai fatti piuttosto che alle parole, al lavoro piuttosto che ai proclami, allo studio piuttosto che all’improvvisazione. Quello che abbiamo imparato a conoscere e che forse, un po' si è perso.

Nessun giocatore parla più, nessuna conferenza durante la settimana: scelte del mister, avallate dalla società, condivise con mal di pancia dalla stampa e dai tifosi. Per andare incontro al lavoro del nuovo mister… servisse a qualcosa, almeno. Di questa società non si sa più niente, tranne i risultati sul campo. E dall’esterno diventano interrogativi pesanti i manichini appesi, i benservito a membri dello staff, gli insulti fuori dallo stadio. Cosa vuole comunicarci la società? Un tempo si diceva “bene o male, basta che se ne parli”, oggi non se ne parla affatto. E questa lontananza è stata percepita anche nei tifosi: chi reagisce ormai con indifferenza a tutto ciò che accade, tifosi che non hanno manco più rabbia per una sconfitta. Un disamoramento a tutti gli effetti: chi ci tiene, in un rapporto, manifesta la propria contrarietà; molti hanno scelto di allontanarsi, invece, come le migliaia di tifosi persi negli ultimi 15 anni. Chi resta sopporta, cerca addirittura alibi per pensare che la situazione non sia poi così grave. Oppure fa una ridicola e patetica caccia alle streghe.

Ieri allo stadio la parte migliore dei novanta minuti sono stati i bambini (anche qui, a saperlo chi erano gli ospiti della società, visto che nemmeno questo viene comunicato…): voci bianche che ad un tratto, nel silenzio sconfortante dello stadio hanno intonato un: “Taranto! Taranto!” che ha risvegliato tutti. Un applauso li ha accompagnati, l’applauso di chi ne ha colto l'esistenza dell’innocenza in un periodo di insinuazioni, di odio, di pettegolezzi, di zizzanie. Sarebbe bello fare un bel reset di sentimenti e ricominciare, a costo di guardarsi in faccia e dire amare verità. Tutti, dal primo all’ultimo.

PS: il presente editoriale è stato scritto prima dell'episodio del tesseramento di Kosnic, per il quale si rimanda ad altre valutazioni.

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