Emiliano Fraccica | |
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Se è vero che il calcio è uno sport che ci ha sempre regalato emozioni, qualche volta ci ha anche portato via un pezzo di cuore. E un pezzo di cuore molto grande di un'Italia che stava appena rinascendo dalle ceneri del fascismo e della guerra, se lo portò via, incolpevolmente, la splendida Basilica di Superga, adagiata sull'omonimo collina a nordest di Torino.
Non c'è nonno che si esima dal raccontare ai nipoti la storia di quella grande squadra, la storia di un club, il Torino, capace di vincere 5 scudetti consecutivi, capace di centrare il double nel '43 vincendo anche la Coppa Nazionale, e che per un tragico destino smise di illuminare i campi col suo gioco spumeggiante e propositivo.
Quel maledetto 4 maggio 1949 tutta la squadra tornava da Lisbona in aereo, dopo aver disputato una partita amichevole contro il Benfica, ma il tempo, una volta arrivati in Piemonte, non era dei migliori: vento, pioggia, e una nebbia fittissima.
Le comunicazioni con la torre di controllo si interruppero alle 17:03, proprio nel momento in cui tutta Torino, fra i rombi dei tuoni, udì uno schianto ben più assordante. Il velivolo andò a collidere con il muraglione posteriore della Basilica. Il pilota probabilmente si ritrovò davanti quella parete granitica solo 40 metri prima dell'impatto, mentre l'aereo viaggiava a circa 180 km/h. Troppo tardi per qualsiasi manovra di virata.
Delle 31 persone a bordo, divise fra squadra, società, giornalisti e personale di bordo, non si salvò nessuno. Rimasero solo pezzi di fusoliera, un elica, diversi bagagli e documenti dei giocatori, che da allora fanno parte di un museo a Grugliasco.
"Solo il fato li vinse", solo il fato poteva fermare infatti quella squadra, il cui undici-tipo è ancora oggi un avemaria molto conosciuto a Torino: Bagicalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Senza contare le valide riserve a disposizione dell'allenatore inglese Leslie Lievesley, e di Egri Erbstein, visionario direttore tecnico ungherese, morti anch'essi nell'incidente.
70 anni sono passati da allora, ma il ricordo è rimasto immutato per quei giocatori che neanche un'ora dopo la morte, erano già leggenda, erano già mito. Ricordare è un dovere per tutte le giovani generazioni che hanno solo sentito parlare del Grande Torino, e che possono sicuramente prendere esempio da Mazzola e compagni, veri gentiluomini dello sport oltre che assi del pallone.
Il calcio italiano sarà sempre grato a quegli eroi dalla maglia granata.