Angelica Grippa | |
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Gino Cossaro, ex difensore nato in provincia di Udine, disputò due stagioni a Taranto, nella prima ottenne la promozione per la Serie B. Attualmente fa l'osservatore per l'Inter, è rimasto legato a quella parte della sua carriera che ama definire 'il punto più alto della sua carriera calcistica'.
Signor Cossaro, quando decise che da grande avrebbe voluto fare il calciatore?
"Io sono nato in un paesino nella provincia di Udine, non ebbi grandi alternative. Sin da piccolo, in mezzo alla strada, insieme agli amici potevamo dedicarci solo a questo sport. Anche se mi innamorai follemente di questo sport sin dal primo momento in cui camminai".
Quali sono stati i suoi punti di riferimento calcistici?
"Mi innamorai perdutamente di 'Ruud' Kroll, che allora giocava nel Napoli, non ci somigliavamo per niente. Ricordo dell'impatto che ebbe su di me, in una partita dell'Udinese in casa contro il Napoli, era uno dei pochi con i capelli lunghi, fisico longilineo. Per me fu un grande punto di riferimento".
Quali sono le più grandi doti che dovrebbe possedere un calciatore a livello tecnico e umano?
"Dal punto di vista tecnico qualunque giocatore potrebbe migliorare attraverso il lavoro. Mentre le doti umane sono innate, per me i calciatori dovrebbero essere tenaci, credere in loro stessi, non mollare mai e avere una voglia spropositata. Capita anche nella vita il momento di difficoltà, per me è proprio in quel momento che si deve reagire. Nella mia carriera calcistica è capitato proprio questo, quando giunsi a Taranto, i primi tempi non ebbi lo spazio per giocare. Esordii contro la Salernitana alla viglia di Natale, poiché ci furono varie defezione per via dell'influenza, io non aspettai altro. Da quel preciso momento disputammo forse dieci partite consecutive senza prendere gol. Ebbi la fortuna di giocare in una squadra eccezionale, con calciatori tecnicamente e fisicamente al di sopra della media. Una difesa quasi imbattibile".
Come arrivò a Taranto, da dove veniva?
"Sarei dovuto venire a Taranto durante l'estate, ero a Barletta e questa squadra mi disse che non poteva rinunciare a me, così decisi di restare. Poi cambiarono i programmi della società, il mercato invernale allora era a novembre, e ne approfittai per cambiare. Ascoltai le parole un mio amico che mi parlò benissimo dell'ambiente tarantino. Credo che sia stata la scelta più prolifica e indovinata dei tutta la mia carriera".
Ha disputato due stagioni in maglia rossoblù, mi parli dell'esperienza...
"Il primo anno fu indimenticabile, ottenemmo la promozione. L'apice della mia carriera calcistica, nel secondo anno battemmo la Juventus in casa in Coppa Italia. Se non erro ci fu il record di pubblico allo Iacovone, in quella storica partita. Quando giunsi a Taranto la squadra era già prima, mi divertii tanto, fummo un grande gruppo costruito dal compianto presidente Carelli e Pieroni, mi accolsero benissimo, e noi mantenemmo le aspettative. L'anno seguente dopo un eccezionale esordio, iniziammo a perdere punti dalle prime, mollammo un pò. La mia esperienza più bella, anche la città, ancora oggi attraverso i social mantengo una serie di rapporti con tanta gente di Taranto. Oggi vivo a Monfalcone, qui lavora tanta gente originaria della città ionica, e insieme ricordiamo questi anni gloriosi".
Da calciatore, i suoi limiti e i suoi punti di forza?
"Avevo un fisico particolare, non ero dotato, non ero veloce tecnicamente possedevo tanta determinazione e voglia di vincere. Le mie due doti fondamentali".
Lei ha vissuto il Taranto glorioso della Serie B, un grande desiderio della tifoseria attuale dopo tanti anni...
"Quello fu un grandissimo Taranto, mi aspettavo anche la Serie A nel giro di qualche anno. Poi mi scadde il contratto, e andai a Trieste e vidi che questo progetto non si realizzò, non conobbi le reali motivazioni di questa mancanza. L'ambiente, la società, lo stadio sono stati il massimo per me, l'avrebbero meritato".
Il momento più difficile della sua carriera...
"All'inizio della mia carriera, militai a Forlì e facemmo bene, fui anche convocato nella nazionale di Serie C. Fui sempre di proprietà dell'Udinese, passai alla Pro Patria e facemmo un discreto campionato, ma io giocai bene e fui premiato dalla tifoseria come miglior calciatore della stagione. L'anno seguente mi vendettero ma rifiutai una squadra, e decisi di rimanere fermo sino a novembre, poi passai alla Afragolese, nonostante non conoscevo nemmeno la società. Feci la scelta giusta perché ritrovai la carica giusta per ripartire, ma quegli anni da fermo costituirono il momento più complesso della mia carriera calcistica".
Segue ancora il Taranto calcio?
"Si, sempre, ho visto che è terza in classifica con una partita in meno. Ci sono ottime possibilità di salire perché meriterebbe altri palcoscenici, anche la Lega Pro gli starebbe stretta".
Cosa è cambiato dal 'suo' calcio a quello attuale?
"Oggi il mio calcio non sarebbe adatto al campo, ero molto sporco e falloso, un difensore vecchia maniera. Con le nuove regole avrei fatto molta fatica, la tecnica non era il massimo per me, negli anni l'ho migliorata. Le regole sono cambiate, non esisteva l'ultimo uomo, l'espulsione diretta era rarissima. Noi ci facevamo rispettare in campo, e fuori dal campo eravamo uomini semplici".
Cosa fa attualmente?
"Attualmente sono osservatore per l'Inter nel settore giovanile per il Friuli Venezia Giulia. Osservo i giovanissimi, fasce d'età basse tra il 2004 e il 2006. All'Inter dividono per fasce d'età, lavoro per loro da 9 anni, sono rimasta nel mondo del calcio".