TARANTO FC

Barasso, 'Il mio sogno è allenare i portieri del Taranto nel professionismo'

MRB.it ha intervistato l'ex portiere rossoblù Nicola Barasso

Nicola Barasso - foto Luca Barone

   Angelica Grippa

22 Novembre 2018 - 10:18

Tempo di lettura: 5 minuti

Nicola Barasso, da portiere, disputò ben cinque stagioni consecutive a Taranto. Arrivò a gennaio nella stagione 2006/07 subentrando a Pinna, e la stagione seguente giocò l'intero campionato da titolare. E' legato a vicende importanti nella memoria dei tifosi rossoblù, ascoltiamo le sue parole che confermano la sua passione per questa maglia.

Signor Barasso, lei ha disputato cinque stagioni a Taranto, cosa la portò a questa scelta? Quale fu il suo primo impatto con l'ambiente?
"Sarò sincero, il primo impatto non fu entusiasmante poiché venendo da Genoa e scendendo di categoria, l'ho vissuta come una sconfitta professionale. Ma il calore della città e della tifoseria, lo spogliatoio straordinario di quel anno, mi fecero ricredere subito. C'era mister Papagni in panchina, poi Ambrosi, De Florio, Prosperi, un ambiente magnifico, e in fretta mi fecero dimenticare la parte brutta del trasferimento. Custodirò per sempre questi ricordi".


Nicola Barasso - foto Luca Barone

Quindi delle cinque stagioni quale ricorda con maggior affetto?
"La stagione 2006/07 è rimasta nel mio cuore, avevamo una squadra davvero grandiosa più di tutte le altre. E' stata nel complesso un'annata quasi perfetta".

Nella memoria dei tifosi tarantini è rimasto l'indelebile e amaro ricordo della partita ad Avellino. A pochi minuti dal fischio finale, lei incassò il gol di Moretti che frenò la corsa del Taranto verso la B. Cosa prova un portiere in una situazione simile, e cosa provò lei nello specifico?
"A cinque minuti dalla fine, mancava così poco, non realizzai nell'immediato, ma soltanto dopo anni. Sul web gira ancora un video intitolato '85 passi all'inferno' che descrive quella partita, con l'Avellino con un piede in C e noi in finale dei play-off. E' stata un'esperienza drammatica, non ho più voluto guardare quel gol, e lo rividi dopo un paio d'anni. Una ferita aperta tutt'oggi, nonostante la veda in modo diversa. In quell'annata, in quella stagione, e con quella squadra penso che meritavamo davvero la Serie B, più di quando abbiamo vinto con Dionigi sul campo. Allora furono le vicende societarie che ci bloccarono, eravamo psicologicamente distrutti e non riuscimmo a superare la Pro Vercelli ai play-off. Non eravamo i più forti ma eravamo quelli che più desideravano la B".

Benevento-Taranto lei difese un compagno di squadra, cosa ricorda di quel match rocambolesco?
"Ricordo che non vedevo l'ora di entrare in campo ed esprimere tutta la mia cattiveria agonistica. Fummo insultati tutto il tempo da un Benevento che si sentiva evidentemente inferiore pur avendo una classifica migliore della nostra. Impostarono il match sul nervosismo ai fini della rissa. Non vedevo l'ora che fischiassero la fine per entrare in campo e far casino, poi ci fu un gesto mal interpretato dalla tifoseria e dai calciatori del Benevento e fu attaccato Bremec. Fu assalito da quattro calciatori. Nessuno avrebbe mai dovuto toccare i miei compagni, fu l'esplosione di una partita carica di tensione che si tramutò in una squalifica di due giornate, o tre. Lo rifarei ancora oggi".


Barasso, nella stagione 2006/2007 - foto Luca Barone


Citiamo un match importante per la sua carriera, Serie B, Genoa-Juventus lei giocò titolare...
"L'apice della mia carriera a livello professionale, il momento in assoluto più bello. Non sono un nostalgico, ma adoro quando la gente me lo ricorda. Giocare contro la Juventus davanti a 42.000 tifosi al Marassi è una sensazione inspiegabile per un calciatore. Ricordo ogni singolo particolare di quella partita, perdevamo 1 a 0, fu annullato il gol, fummo padroni del campo con varie occasioni, ma loro passarono in vantaggio con una punizione di Nedved. Una vera fucilata, ricordo ancora il rumore del vento e dopo tre minuti recuperammo la partita. L'ansia e l'emozione per quel match partì dalla settimana che precedeva il match. Auguro a tutti di provare l'emozione di calpestare un Marassi così, Genoa e i genoani mi sono entrati nella testa e del cuore, una frase di Ballardini che faccio mia".

Nelle cinque stagioni a Taranto cos'ha visto cambiare nelle diverse società e sul campo?
"Faccio una premessa, Taranto rappresentò per me una tappa di vita a livello professionale e personale fondamentale. Ho lasciato il cuore, e ci torno spesso, al di là della terra magnifica, ci torno in vacanza, è una mia seconda famiglia. Se devo fare un discorso calcistico mi piange il cuore vedere una città come Taranto con 200.000 abitanti che non è mai stata in Serie A, forse è l'unica città d'Italia. Qui chiamo in causa le istituzioni facendo una critica a tutti, il calcio a Taranto dovrebbe diventare la prima risorsa non un peso. Non bisogna accontentare il tifoso così appassionato, dovrebbe essere considerato una risorsa. Ho visto 9000 persone in Taranto-Matera, esperienze emozionanti. Ma se nitidamente ci fermiamo a riflettere ci arriva un pugno dritto allo stomaco, questa passione va coltivata e messa in prima linea. Ho visto pochissimi imprenditori tarantini occuparsene, e devo dire che quelli che ho visto avevano la squadra a cuore. Chi non ha indossato quella maglia non lo potrà mai sapere, io ho avuto questo onore, conosco il peso e il valore. Il Taranto è Taranto, questo bisogna tenerlo bene a mente".

Segue ancora le vicende e le partite dei rossoblù?
"Certo, sempre. Panarelli è un mio grande amico e sta facendo benissimo. Stanno andando oltre le aspettative ma per la bravura di Gigi, se verrà supportato dalla società il Taranto tornerà fra i professionisti. Questo è il mio pensiero, è bravissimo".

Cosa fa attualmente Nicola Barasso?
"Attualmente sono il preparatore dei portieri del Cuneo in Lega Pro. Il mio sogno è allenare i portieri del Taranto nel professionismo. Desidero riassaporare lo Iacovone colmo di tifosi come l'ho vissuto io".

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