Angelica Grippa | |
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Giovanni Malagnino ha militato nel Taranto dal 2003 al 2008, centrocampista combattivo e volenteroso. Viene ricordato dai tifosi soprattutto per i due goal segnati a Ragusa, nella finale play-off della stagione 2004-2005, vinta dai rossoblu.
Signor Malagnino mi parli del suo arrivo a Taranto, quale ambiente ha trovato. Com'è Taranto a primo impatto?
"Quando Taranto mi cercò io militavo nel settore giovanile del Lecce, per quella stagione preferii proseguire con loro. In seguito a scadenza di contratto, scelsi il settore giovanile del Taranto. Devo dirle che già assaggiavo il sapore di una grande società che militava in C1. Era l'epoca di Pieroni e dei play-off per andare in Serie B, si avvertiva il calore del pubblico. Dopo tre anni, uno negli allievi nazionali, e due anni di Beretti, ho esordito in prima squadra".
Lei ha passato tante stagioni a Taranto, ha vissuto numerosi cambiamenti. Il momento più difficile a tinte rossoblu?
"Il momento più difficile è stata la mia prima stagione in prima squadra, eravamo quasi tutti della Berretti. All'esordio con la Juve-Stabia, perdemmo 4 a 0, il loro bomber era Ambrosi. Nonostante il pessimo risultato, uscimmo fra gli applausi della tifoseria, per l'impegno che videro di noi ragazzi in campo. Onorammo la maglia sino alla fine. Fu il periodo più complesso per me, senza società e con pochissimi calciatori esperti. In quel frangente uomini come Maddè, Signorile ci diedero una grossa mano. A dicembre arrivò Blasi e cambiò tutto, ci ritrovammo a disputare i play-out e andò bene".
A proposito di quella famosa partita con la Juve Stabia, i tifosi tarantini ricordano un episodio chiave. Ambrosi a fine partita andò a festeggiare sotto la curva, e lei appena diciasettenne affrontò quel bomber a muso duro. Cosa ricorda di quel episodio d'orgoglio tarantino?
"Si me lo ricordo. Non mi sembrò giusto quel comportamento nei confronti dei nostri tifosi. Sopra ogni cosa, per quello che avevano patito sino a quel momento. In due anni i nostri tifosi si trovarono da disputare i play-off per la Serie B, a due cambiamenti di società e poi questo triste esordio. Fu un richiamo, per lo più, di rispetto nei confronti del pubblico tarantino".
Scendiamo nel particolare, stagione 2004-05: Taranto a rischio fallimento, la finale play-out a Ragusa, lei segnò due goal in finale. Mi descriva quel momento, cos'ha provato?"
"In quella sera capii ben poco, avevo sì realizzato di aver fatto due goal, ma non la vera importanza di quelle reti. Quando sei ragazzino vivi tutto con leggerezza. Nei giorni seguenti, attraverso la stampa nazionale e tarantina, che mi elogiarono, presi coscienza. Ci salvammo con un Ragusa dai nomi altisonanti, come Plasmati, calciatori che avevano militato per tanto tempo in Serie C. Il valore dell'impresa lo realizzai con il passare degli anni".
Cosa le insegnò quella stagione al limite del sacrificio? Com'è giocare in un ambiente tanto destabilizzante? Quali uomini furono la guida di quel Taranto?
"Avevo una visione positiva, poiché ancora diciasettenne, mi affacciavo nel mondo del professionismo. Quella stagione crebbi tanto dal punto di vista calcistico e umano. Io da tarantino stavo sempre con Mignogna e Signorile, ma un uomo guida fu Maddè. Non era di Taranto, ma quell'anno capii davvero cosa significasse essere tarantino, e per noi più giovani fu davvero una guida. A Taranto il calcio è importante, e lo si percepiva ogni domenica con una cornice di pubblico così importante per quella categoria".
Lei lasciò Taranto nel 2008, perché questa scelta? Cosa ha fatto dopo?
"Ho lasciato Taranto perché a fine stagione mi scadeva il contratto e Blasi non volle rinnovarlo. L'anno precedente fui dato in prestito al Monopoli, ma avendo tre anni di contratto tornai a Taranto. A dicembre mi arrivò la proposta del Noicattaro in Serie C2, si rivelò sbagliata. Parlando con il mister di allora, mi disse che avrei trovato poco spazio a Taranto, mentre scendendo di categoria avrei giocato molto di più. Le cose non andarono nel migliori dei modi. Poi dopo la lunga parentesi Taranto, ho militato per tanto tempo in Serie D e in Eccellenza".
Segue ancora il Taranto?
"Si, certo. Quando finisco la mia partita la domenica, corro a vedere il risultato del Taranto. Spero sia questo l'anno giusto per risalire, ci sta riprovando da tanto tempo. Se lo merita la squadra, ma soprattutto quella tifoseria che non ha paragoni con tutte quelle di questa categoria, come lo merita tutta la città".
Dove gioca attualmente? Tornerebbe in futuro a Taranto anche in altre vesti?
"A Taranto ci tornerei sempre e volentieri. Adesso sto giocando nella Deghi Lecce, una giovane società molto seria, con un ambiente piacevole. Spero di raggiungere anche con questa società obiettivi importanti. A prescindere da tutto Taranto è la mia seconda famiglia".
Quali sono i valori che deve avere un calciatore, e quali lo hanno accompagnato per tutta la carriera sino ad oggi?
"Ogni calciatore ha i propri valori, chi è dotato tecnicamente, chi atleticamente, chi umanamente. La mia forza è sempre stata quella di lottare su ogni palla e di non darmi mai per vinto. E' stata la mia volontà a fare la differenza. Essendo solo un ragazzino, non ero quel calciatore dalle grandi doti tecniche, ma dal primo minuto sino al centesimo correvo senza mai fermarmi, non mollavo mai. Credo sia stato questo a regalarmi la stima delle tifoserie delle squadre in cui ho giocato".