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Il lunedì che gioia grossa…

Ma oltre il campanilismo, il fallimento del Bari e delle altre squadre deve far riflettere su un sistema malato
   Roberto Orlando

17 Luglio 2018 - 12:33

Tempo di lettura: 5 minuti

L’estate rovente delle società calcistiche in difficoltà ha iniziato a mietere le prime vittime. Caduti eccellenti, piazze dalla tradizione calcistica forte che si ritrovano adesso a dover rinascere dalle proprie ceneri; per storia, per tradizione, per dignità. Ieri (16 luglio, ndr) alle 19 scadevano i termini per la presentazione dei ricorsi e della documentazione necessaria per la regolare iscrizione in serie B e C. Out, come dicevamo, realtà importanti come Bari, Reggiana, Cesena. Ma anche l’Andria è fuori, mentre la settimana prossima verranno valutati i ricorsi presentati da Avellino, Lucchese, Matera e Cuneo. Non sono da escludere sorprese in negativo per questi ultimi ricorsi.

A Reggio Emilia forse la situazione più amara: i granata falliscono nell’anno del centenario e potrebbero ritrovarsi addirittura… senza stadio, dato che è di proprietà del Sassuolo. Un ostacolo in più, quindi per ripartire almeno dalla serie D. Il Cesena ha comunicato di aver aderito all’istanza di fallimento avanzata dalla Procura della Repubblica di Forlì (oltre 70 i milioni di debito dei romagnoli) e anche i bianconeri ripartiranno dai dilettanti.
Avvicinandoci a casa nostra , anche ad Andria giornata triste: il presidente Montemurro ha rinunciato al ricorso. Anche in questo caso la mancanza di soldi per affrontare tutti gli oneri del terzo campionato professionistico italiano ha tagliato le gambe alla società barese. Adesso tocca alla “Fondazione degli andriesi”, una cordata di imprenditori locali, far rinascere il calcio nella terra di Federico.

Il Como, intanto, secondo nella graduatoria dei ripescaggi stilata dalla serie D (quinto nella graduatoria che tiene conto delle squadre B e delle retrocesse di serie C) ha già comunicato che predisporrà tutta la documentazione necessaria per il ripescaggio. Pronte al ripescaggio anche Siena e Ternana, che puntano ad un posto in cadetteria.

Situazione allucinante a Bari, invece: gli imprenditori Ferdinando Napoli e Andrea Raddrizzani hanno provato a salvare i galletti, ma si sono trovati davanti una situazione debitoria poco chiara e la reticenza di Giancaspro nel fornire tutta la documentazione contabile. “Mi faccio sentire io” sono state le ultime beffarde parole del presidente barese all’imprenditore Napoli. Mentre nel capoluogo pugliese si iniziava a “piangere il morto”, è arrivato il colpo di teatro da parte del presidente del Bisceglie Canonico, che ad Antenna Sud ha dichiarato di aver costituito la AS Bari 2018 per ripartire dalla serie C. Il prezzo dell’affare? Il trasferimento del titolo sportivo da Bisceglie a Bari. Ma si è alzata subito la bufera: i primi a dire no a Canonico sono stati i bulldog Bari 1991preferiamo la serie D ad una C senza dignità. I titoli sportivi non si usurpano alle altre città e ai loro gruppi ultras”, si legge nel comunicato. Mentre il Sindaco Decaro non si è ancora pronunciato sull’azzardo di Canonico, è stato il primo cittadino biscegliese Angarano ad alzare la voce, considerando gravissima l’eventualità di vedere i neroazzurri diventare biancorossi e invitando Canonico ad un confronto faccia a faccia. Inoltre, per Canonico, il trasferimento potrebbe risultare difficile, essendo già scaduti i termini dettati dalla FIGC (15 luglio, ndr) per il mutamento della denominazione sociale (art. 17 NOIF) e per il trasferimento della sede sociale (art. 18 NOIF).

Alla notizia del fallimento del Bari, in riva ai due mari si sono accesi gli animi, rinfacciando il fallimento subito nel 1993 dal Taranto di Carelli ad opera dell’allora presidente FIGC Matarrese e “accogliendo” i tifosi della Bari all’inferno della serie D. Sfottò e convenevoli di rito a parte, resta la delusione per un’altra società pugliese fallita. Il “mal comune mezzo gaudio” non dovrebbe far parte della mentalità campanilistica sportiva ma, tant’è, alle volte si riesce a godere solo per le disgrazie altrui e non per le proprie vittorie.

Mi si permetta: dalla A14, salendo al Nord, si vede dalla strada “l’astronave” di Renzo Piano, quel San Nicola che è il simbolo netto della potenza dei Matarrese negli anni ’90 (stadio nuovo costruito da un’archistar mondiale, la finale per il terzo posto di Italia ‘90 ed una finale di Champion’s tra le partite disputate al San Nicola); agli inizi del 2000 i galletti erano appena retrocessi in serie B mentre il Taranto di Pieroni aveva iniziato la scalata che l’avrebbe portato ad un passo dal derby, che all’epoca mancava da 7 anni. All’epoca “militavo” in TarantoSupporters, le trasferte erano più frequenti e a quasi ogni trasferta vedevamo il San Nicola, magari sulla strada per andare ad Ascoli o a Lanciano o a Chieti. Promisi a me stesso di entrare al San Nicola solo per il derby, rifuggendo la possibilità di vedere Milan, Juve, Inter, la nazionale e le tante manifestazioni sportive che in quegli anni passavano dal capoluogo pugliese (in quegli anni andava regolarmente in scena il trofeo Birra Moretti dove nel 2002 addirittura arrivò il Chelsea Di Lampard, Zola e Desailly); immaginavo il riscatto da anni di dilettantismo con un bel Bari – Taranto in serie B, magari come ai vecchi tempi degli anni ’80 quando i rossoblù lottavano per salvarsi e la partita coi galletti era una sfida a parte.
Sapere che probabilmente la Bari ripartirà dalla serie D e che quindi, in previsione, potrebbe davvero esserci il tanto sospirato derby con gli “odiati” cugini… riempie di tristezza. Da che per il Taranto poteva (e doveva) essere simbolo del ritorno a testa alta a livelli più alti, il derby (in serie D) concretizza invece il fallimento di un territorio, di una regione che non riesce ad esprimere più nulla di buono. Diventare pesci grandi in un acquario piccolo significherà forse lottare per la serie C non solo contro il Bari ma contro Cerignola ed altre, magari preoccupandosi di Rotonda e Gragnano (con tutto rispetto per queste realtà calcistiche); davvero, per il fallimento del Bari non c’è nulla da festeggiare.

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